American Honeymoon pt. 4

Come per ogni tappa “programmiamo” il percorso da fare prima della partenza e decidiamo di raggiungere Montreal non per la via breve, ma per quella panoramica, 600 km di tragitto, buona parte sulla statale, panoramica, poco trafficata, decisamente invitante.
Lasciamo l’autostrada che costeggia il lago Ontario, quasi intasata, dopo pochi chilometri e puntiamo verso la Trans Canada Highway e la Highway 7, direzione Ottawa, attraversando una regione puntellata da paesini, foreste ed una miriade infinita di laghetti. Ci colpisce la differenza del tessuto urbano tra i nostri paesi e quelli che attraversiamo: qualche centinaio di case e decine di chilometri tra un paese e l’altro: è impossibile non pensare all’accesso ai servizi, alla scuola, al medico, l’ospedale i generi di prima necessità e non… le reti delle infrastrutture completamente diverse dalle nostre, tutto a vista, tutto su pali di legno che pendono ognuno verso un angolo diverso, cavi che vanno a destra e sinistra: quasi un altro mondo.

Sempre legati agli orari del piccolo Pulce, facciamo tappa ad un Tim Horton’s lungo la strada per un pranzo veloce ed un cambio tattico e procediamo lungo questo susseguirsi infinito di acqua e foreste. L’autunno si fa vedere, purtroppo per me non ancora al suo massimo splendore.

Altra tappa tattica, legata alle necessità del nostro tiranno (ma non poteva farla tutta in una volta ed evitare di rendere l’abitacolo una camera a gas?!), e ci prendiamo qualche minuto per guardarci intorno: ci saranno castori? apparentemente si, ma forse sono chiusi in casa e non gradiscono visite. Continuiamo a cullare la speranza di vedere qualche animale selvatico attraversare la strada o affacciarsi al limitare delle foreste, ma gli unici avvistamenti sono quelli dei cartelli stradali.

Arriviamo a Montreal nel tardo pomeriggio e ci troviamo costretti ad attraversare la città nell’ora di punta, mettendoci una vita per arrivare in albergo e poter finalmente scendere, liberare Pulce, e mangiare un boccone!

Sbrighiamo velocemente le formalità alla reception, dove fortunatamente parlano un ottimo inglese, altrimenti con il mio francese saremmo ancora li, scarichiamo armi e bagagli, il tempo di vedere la camera un po’ scarna dopo quella meravigliosa di Toronto, una puntata in bagno con piastrelle bianche e di un minimal da richiamare alla memoria certe atmosfere del film Shining, andiamo subito alla scoperta della città.

L’albergo è nel quartiere vecchio, strade strette di sassi, vecchi edifici in pietra, luci e poco traffico, un’atmosfera molto rilassante e familiare. L’area è piena di negozi e locali, c’è movimento e passeggiare è un piacere. Adocchiamo subito alcuni punti su cui tornare, tra cui una meravigliosa pasticceria dove faremo tappa fissa, sgomitando per un posto, ogni pomeriggio all’ora della merenda: Olive et Gourmando gialle è una bellissima scoperta.
Per cena optiamo per qualcosa di diverso e non ancora testato in questo viaggio: cucina indiana. Viaggiamo alla scoperta di posti nuovi, e scoperta sia fino in fondo!

Il tempo sembra non avere particolarmente a cuore i nostri interessi girovaghi, e veniamo accolti da una mattina grigia e umida, che poco invoglierebbe a passare la giornata all’aperto, ma noi, stoici e temerari, ci armiamo ed usciamo, passeggino d’ordinanza, macchine fotografiche, neccessaire per il giovanotto e via.

Passeggiando quasi senza meta per il quartiere e per Centre de Ville, raggiungiamo prima la zona dei giardini lungo il San Lorenzo, tutta restaurata, con centri commerciali, poli scientifici e locali, e ci fermiamo ad ammirare il fiume, che chissà perché me lo aspettavo più grande… non so che idea mi fossi fatta, è imponente, una massa d’acqua in movimento che a cercare di immaginarla fa quasi spavento, eppure a prima vista ne sono rimasta delusa, come se avessi dovuto essere ancora più grande.

Torniamo verso la città e non poteva mancare uno struscio davanti al Centro Congressi, cartolina quasi immancabile per una visita a Montreal, con le sue vetrate colorate, così come le piazze, più o meno grandi, con giardinetti e aiuole che allargano lo spazio e la vista tra un grattacielo e l’altro.

Nel nostro vagare costeggiamo, senza addentrarci visto l’orario ormai tardo e il tempo sempre più incerto, ma con la speranza di riuscire a tornarci, China Town, che ammicca già dalle vie circostanti con il suo mix di architettura orientale e moderna, insegne con ideogrammi e caratteri occidentali, colori sgargianti anche sotto il cielo plumbeo.

Proseguiamo per tornare verso l’albergo costeggiando la basilica di Notre Dame e in lontananza mi colpisce un’insegna con scritto Noel Eternel… non riesco a resistere e mi infilo a curiosare nel paradiso del kitsch. Incredibile ma vero, riesco ad uscire senza comprare nulla!

Continuiamo la passeggiata nelle vie lastricate della città vecchia, tra edifici di pietra e di mattoni, vecchie case semplici stanno accanto a storici palazzi austeri ed eleganti; amo i quartieri storici, la loro evoluzione che si vede nella discrepanza di stili tra un edificio e l’altro, che pur si armonizzano in un tessuto unico, tipico di tutte le città europee, un po’ più difficile da trovare altrove.

L’indomani il sole fa finalmente capolino e decidiamo di passeggiare fino a Little Italy e il mercato coperto Jean Talon. Sette chilometri di strada quasi ininterrottamente dritta, cose impensabili per spazi cui siamo abituati. Attraversiamo quartieri un po’ trasandati ed altri curatissimi, ci imbattiamo in case decorate come opere d’arte di street art in ogni gli muro, finché finalmente giungiamo alla meta prefissata.

Amo visitare i mercati, di cibo in particolare: mi piace sentirne gli odori, vedere i colori e il modo diverso di proporre il cibo. il Jean Talon merita assolutamente una tappa, vuoi per i suoi locali all’interno dove poter mangiare o fare una sosta, vuoi per il caleidoscopio di colori che offre passando da frutta a verdura, spezie ecc… ecc… una gioia per gli occhi.

C’è un piacevole via vai di gente, tra persone del luogo intente a fare la spesa e turisti curiosi come noi. Si sente parlare quasi esclusivamente francese, anche se il quartiere italiano è qui dietro l’angolo, non sembra che abbia minimamente influenzato l’idioma locale.

Ci accomodiamo al tavolino di uno dei piccoli locali e ordiniamo da mangiare. Nonostante il loro inglese non sia ottimo, e il mio francese faccia pena, riusciamo a capirci e ci godiamo il nostro “fast food”: una frittura di pesce direttamente dalla pescheria. Il tutto sotto lo sguardo vigile e curioso di Pulce che sembra tanto volermi mandare in malora visto che lui mangia “vasetti” insipidi e noi cose apparentemente molto più interessanti…

Per il ritorno ce la prendiamo decisamente comoda, attraversando il quartiere di Miles End, ricco di deliziose casette con scale esterne che ravvivano e rendono vivace il fronte strada. E’ una zona movimentata, piena di piccoli negozi, caffetterie, locali, i marciapiedi, complice il sole, sono sempre trafficati e ci perdiamo a guardare in tutte le direzioni ed a notare la sfrontatezza degli scoiattoli che credo siano ormai domestici.

Una meravigliosa passeggiata per salutare il brevissimo soggiorno in Quebec: domani si riparte, destinazione Vermont, con la speranza, vana, di vedere più autunno di quanto visto finora.